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San Giorgio a Cremano.

Sono passati circa dieci minuti dalla nostra partenza da Piazza Garibaldi, ovviamente salvo imprevisti dovuti alla proverbiale quanto imprevista assenza di materiale rotabile, ed ecco che le porte della nostra Vesuviana si fermano a San Giorgio a Cremano.

Personalmente la ricordo come un incubo, per me pendolare verso Napoli:

dopo essere riuscito a conquistare un posto nei corridoi a Portici, magari trovando l’incastro perfetto vicino al finestrino o indovinando la carrozza meno affollata combinando teoria dei giochi e statistica, puntualmente tutte le mie conquiste territoriali venivano vanificate dalla fiumana di persone che salivano a San Giorgio. Veramente frustrante.

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Normale affluenza di pendolari sangiorgesi in attesa del treno verso Napoli.

Usciti dalla stazione, finalmente superiamo le virtuali mura di Napoli per avvicinarci al cuore del Miglio d’Oro e alle pendici del nostro vulcano preferito, ormai non più semplice simbolo da cartolina ma presenza quasi tangibile: anche se in realtà non è poi imponente, per noi che abitiamo alle sue pendici il Vesuvio è una vera e propria montagna torreggiante, cosi imperiosa, così… intima e così minacciosa ma al tempo stesso rassicurante. Così vicina da poterne distinguere i boschi (o meglio quello che ne è rimasto dopo gli incendi criminali dell’estate 2017); così vicina da ricordarci la nostra intelligenza nel realizzare veri e propri buchi neri abitativi a distanza di uno sputo dal Giorno del Giudizio. San Giorgio a Cremano risulta il terzo comune italiano per densità abitativa, in un podio purtroppo tutto napoletano, a testimonianza di quella longa manus edilizia che, dagli anni Sessanta, ha speculato senza ritegno nell’ambito di quella “sinergia” perversa tra Governo centrale, enti locali e camorra finalizzata alla lottizzazione delle risorse pubbliche per la costruzione del loro consenso elettorale.

Comunque sia, nonostante lo squilibrio abitativo dei nostri tempi, San Giorgio a Cremano rimane una cittadina ordinata e gradevole, soprattutto impreziosita da una miriade di ville settecentesche nell’ambito di quello che potremmo chiamare il Miglio d’Oro “allargato”. In origine, infatti, il famoso Miglio d’Oro comprendeva solo quel miglio della vecchia Strada regia delle Calabrie, costellato di dorati agrumeti, che da Ercolano arrivava a Torre del Greco.

Oggi è diventata il vero e proprio centro culturale di San Giorgio a Cremano tanto da essere conosciuta come il Palazzo della cultura vesuviana, ospitando concerti, manifestazioni, la biblioteca comunale e il premio Troisi dedicato ai giovani comici. A tal proposito, per chi non lo sapesse, San Giorgio a Cremano è anche la città natale di Massimo Troisi, una dei più amati e indimenticati volti del panorama culturale napoletano.

Personalmente adoro la sua comicità fatta di tentennamenti, di incertezze, di timidezza ma anche di una certa dose di ingenua furbizia. Adoro la sua traboccante napoletanità, così forte grazie all’uso imperterrito della lingua napoletana (“io penso, io sogno in napoletano!”), e al suo saper disinnescare, con grande ironia, i continui luoghi comuni su Napoli e i napoletani.

Successivamente questa definizione si è estesa impropriamente fino a comprendere anche Portici e San Giorgio nonché i quartieri di Barra e S. Giovanni a Teduccio, in quanto accomunati da una straordinaria concentrazione di raffinate ville e giardini rococò e neoclassici, frutto della decisione della nobilità napoletana di trasfersirsi vicino alla residenza estiva porticese di Carlo di Borbone, vuoi per il disinteressato piacere della sua vicinanza, vuoi per il fascino dell’antichità con gli allora recentissimi scavi di Ercolano.

Tra le circa trenta ville sangiorgesi, una delle più importanti ed imponenti è Villa Vannucchi, la cui storia è alquanto particolare: da punto di riferimento per la nobiltà napoletana ai tempi di Gioacchino Murat, all’epoca ritrovo di feste, ricevimenti e scialacquamienti, a orto abusivo fino al restauro del 2006-2009, ad opera del Comune di San Giorgio, che l’ha riportata al suo antico splendore. Un’altra delle principali ville sangiorgesi, invece, è sicuramente Villa Bruno la quale, oltre alla ricchezza artistica ed architettonica, data la presenza di stili che vanno dal barocco al rococò al neoclassico, o all’utilizzo di diversi materiali vulcanici – tra cui spicca il tufo giallo napoletano –, ha ospitato anche la fonderia Righetti, celebre per aver fuso le due statue equestri di Carlo III di Spagna e di Ferdinando I delle Due Sicilie, oggi collocate in piazza Plebiscito a Napoli.

Ed è a lui e ad un altro grande sangiorgese, Alighiero Noschese, che è stato dedicato il bellissimo murale all’interno della stazione, realizzato dagli artisti Rosk&Loste su iniziativa del sindaco Giorgio Zinno ed interamente finanziato dall’EAV di De Gregorio, nell’ambito dell’apertura delle sue stazioni alla street art.

Anche chi scrive crede fortemente nelle potenzialità della street art nel valorizzare il paesaggio e le strutture urbane, in quanto rappresenta concretamente l’anello di congiunzione tra la città e le sub-culture da essa create, attingendo al nostro immaginario culturale ed esaltando al tempo stesso la creatività e modalità di espressione fuori dagli schemi.

E cercando di rendere più nostri e più vicini gli spazi urbani.

Purtroppo l’opera, come successo al murale di Totò a Piazza Garibaldi, che voleva non solo abbellire la struttura ma regalare il primo sorriso della giornata a tutti i passeggeri richiamando alla memoria due grandi della comicità nostrana, è stata vittima di un vero e proprio raid criminale che ne ha deturpato la bellezza, fortunatamente solo temporaneamente grazie ad un pronto intervento di ripristino. In questo modo, la difesa di un semplice murale, voluto fortemente per valorizzare alcuni dei simboli della nostra identità, si inserisce in una vera e propria guerra di civiltà contro i “nuovi” barbari in difesa di ciò che è nostro.


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